Giuseppe Tallarita era un pensionato, ex impiegato al petrolchimico di Gela. Aveva 66 anni e un amore smisurato per la sua famiglia: la moglie, i figli e gli adorati nipoti. Abitava a Butera, un piccolo centro in provincia di Caltanissetta. Fece enormi sacrifici e investì ingenti risorse in un terreno di campagna; al centro del podere dominava una casa che divenne il luogo in cui custodire i momenti e gli affetti più cari. Fu trovato morto il 28 settembre 1990 di fronte alla sua tenuta. Lo uccisero due killer della “Stidda” (dopo Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Cosa Nostra, viene considerata la ‘quinta mafia’); il mandante era l’allora pastore che qualche anno prima si vide rifiutare il transito abusivo del gregge, più volte reiterato nel tempo. Quel rifiuto, a distanza di anni, fu pagato con la vita. Un uomo semplice e giusto, ucciso per non aver ceduto alla prepotenza e alle angherie.
2023, Armando Editore Attualmente in commercio
Giuseppe Tallarita era un pensionato, ex impiegato al petrolchimico di Gela. Aveva 66 anni e un amore smisurato per la sua famiglia: la moglie, i figli e gli adorati nipoti. Abitava a Butera, un piccolo centro in provincia di Caltanissetta. Fece enormi sacrifici e investì ingenti risorse in un terreno di campagna; al centro del podere dominava una casa che divenne il luogo in cui custodire i momenti e gli affetti più cari. Fu trovato morto il 28 settembre 1990 di fronte alla sua tenuta. Lo uccisero due killer della “Stidda” (dopo Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Cosa Nostra, viene considerata la ‘quinta mafia’); il mandante era l’allora pastore che qualche anno prima si vide rifiutare il transito abusivo del gregge, più volte reiterato nel tempo. Quel rifiuto, a distanza di anni, fu pagato con la vita. Un uomo semplice e giusto, ucciso per non aver ceduto alla prepotenza e alle angherie.